DIDATTICA DEL LANCIO DEL MARTELLO

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| di Gian Mario Castaldi

| Il lancio del martello è un gesto abbastanza difficile da comprendere per un giovane che si avvicina alla specialità, perché è un movimento artificioso e meno immediato rispetto agli altri lanci. Pertanto il primo approccio a questa disciplina sarà volto a:

  1. far comprendere quali sono le fasi che costituiscono il lancio
  2. trasmettere che il maggior contributo all’accelerazione del martello è dato dall’azione delle gambe

Il lancio è costituito da quattro fasi:

  1. i preliminari
  2. l’entrata al primo giro
  3. i giri
  4. il rilascio finale

Gli strumenti didattici principali per trasmettere la tecnica di lancio sono essenzialmente tre:

  1. gli imitativi
  2. gli esercizi di sensibilizzazione
  3. gli esercizi di lancio

IMITATIVI

Gli imitativi sono esercizi che vengono effettuati senza tenere il martello in mano. Il loro scopo è quello di spiegare all’allievo quali sono le fasi che costituiscono l’intero movimento, potremmo dire la grammatica del lancio. La loro esecuzione è svincolata dalla ritmica del gesto e solitamente avviene a bassa velocità e frammentando l’esecuzione complessiva nei diversi “passaggi” per far comprendere con precisione le posture e i movimenti che il giovane deve ricercare.

I primi imitativi da proporre sono quelli che spiegano come si effettuano le rotazioni preliminari

Imitativi dei preliminari

Dopodiché si spiega all’allievo come deve essere svolta l’entrata al primo giro

Imitativi dei preliminari e passaggio a 90°

Successivamente si propongono gli imitativi che in misura graduale spiegano le peculiarità dell’esecuzione dei giri, soprattutto il “footwork”, cioè il particolare modo di procedere in pedana del martellista. Infatti in questa fase, cioè la fase dei giri, il lanciatore realizza una roto-traslazione in pedana grazie al contributo dell’azione dei piedi, diverso tra i due piedi, in quanto il sinistro (per un lanciatore destrimano) opera una serie di passaggi dal tallone all’avampiede e rimane sempre a contatto con la pedana, mentre il contributo del destro è principalmente a carico dell’avampiede. Inoltre il piede destro in ogni giro ha un distacco dalla pedana e un successivo contatto con la pedana stessa. Questo determina le fasi di singolo appoggio e di doppio appoggio dei giri del lancio.

Imitativi dei preliminari e piazzamento a 270°

Imitativi dei preliminari e giro completo

Imitativi dei preliminari e giro completo e passaggio a 90°

Imitativi di giri con manubri

Imitativi di giri con ketbell

Piazzamenti successivi a braccia larghe

Piazzamenti successivi con bastone

Piazzamenti successivi con skimmer

Passaggio a sinistra con palla

Imitativi di un giro e stop con piastra

Imitativi di due giri e stop con piastra

Imitativi di tre giri e stop con piastra

Dopo aver insegnato all’allievo come si effettuano i preliminari, l’entrata al primo giro e i giri, si propongono degli esercizi per l’apprendimento del rilascio finale.

Finale con palla medica

Infine si propongono degli imitativi del gesto completo, con variazioni sul tema per aumentare la sensibilità al movimento da parte del giovane.

Imitativo del lancio completo

Imitativo del lancio completo veloce

Imitativo del lancio completo con bastone a presa larga

Imitativo del lancio completo con bastone a presa larga veloce

Imitativo del lancio completo con bastone a presa larga sopra la testa

Imitativo del lancio completo con palla medica

Le esercitazioni con gli imitativi sono uno strumento fondamentale per l’apprendimento iniziale della specialità, e nelle fasi di approccio bisogna dedicarvi molto tempo. Infatti è tramite gli imitativi che si riesce a spiegare con precisione e in modo minuzioso quali posizioni deve ricercare il lanciatore e quali sono i movimenti che lo “portano” da una posizione all’altra. Dobbiamo immaginare il lancio come una serie di fotogrammi e “costringere” il lanciatore a passare da quei fotogrammi. Per far comprendere meglio le esatte posture ci si può avvalere anche di fotosequenze che le illustrino.

Sarebbe opportuno che anche gli atleti esperti facessero di tanto in tanto dei richiami di imitativi, in quanto, svincolati dall’esigenza di accelerare il martello (che non hanno in mano), possono concentrarsi sulla precisione del movimento, assaporarlo, ripassarlo, possono concentrarsi su elementi del lancio in cui nel lancio vero e proprio solitamente trovano difficoltà.

ESERCIZI DI SENSIBILIZZAZIONE

Dopo aver fatto comprendere al principiante, con gli imitativi, quali sono gli elementi del lancio ed averglieli fatti interiorizzare, anche se in modo embrionale, si può passare ad esercitazioni da effettuarsi direttamente con il martello.

Quindi, una volta spiegato come si impugna l’attrezzo, si cominciano a proporre gli esercizi. Essi si dividono in tre tipi:

  1. Giri di sensibilizzazione (che nel gergo da campo vengono usualmente chiamate “pedane”)
  2. Sensibilizzazione ai preliminari
  3. Mix di preliminari e giri

Giri di sensibilizzazione

In ossequio al principio che nella fase di approccio alla specialità l’allievo deve capire fin da subito che il martello si accelera prevalentemente con le gambe, le prime esercitazioni proposte saranno i giri di sensibilizzazione, durante i quali le braccia sono praticamente passive ed il movimento è principalmente a carico delle gambe e dei piedi.

Proprio per focalizzare l’attenzione sul footwork i primi giri di sensibilizzazione proposti sono i cosiddetti “rotolini” in cui il martello rimane al contatto col suolo e vi disegna sopra le orbite.

Rotolini a due mani

Rotolini con mano destra

Rotolini con mano sinistra

Successivamente si passa a “pedane” in cui, partendo da dei rotolini, dopo qualche giro l’allievo solleva delicatamente il martello da terra. In questa fase bisogna concentrarsi sul concetto che le braccia rimangono passive e l’accelerazione “sgorga” dall’azione degli arti inferiori. Il giovane deve girare con il martello “a campana”, cioè leggermente sollevato dal suolo ma sempre alla stessa altezza, senza che ci siano quindi inclinazioni nell’orbita, come avviene col lancio completo.

Rotolini e decollo a due mani

Rotolini e decollo con mano destra

Rotolini e decollo con mano sinistra

Il terzo step nell’apprendimento dei giri di sensibilizzazione è costituito dai giri veri e propri, sempre col martello a campana ma senza iniziare coi rotolini. Per iniziare a girare esistono due modi: il “passamano” o uno o due giri di preavvio, a scelta dell’allievo.

Tipi di partenza con martello a campana

Giri a due mani

Giri con la mano destra

Giri con la mano sinistra

Giri con due martelli

Giri con martello alla cintura

3-4 giri piano e 3-4 giri forte

Giri con gli occhi bendati

Giri con cavigliera al piede destro

Giri con piastra e catena

Giri con calzature minimali

Sensibilizzazione ai preliminari

Dopo che l’allievo ha interiorizzato la dinamica dei giri con il martello si propongono gli esercizi per l’apprendimento dei preliminari.

Serie di preliminari

Preliminari camminando avanti e indietro

Preliminari camminando a destra e a sinistra

Preliminari su skimmer o bosu

Preliminari con mano destra

Preliminari con mano sinistra

Mix di preliminari e giri

Infine si fondono gli esercizi di sensibilizzazione ai preliminari con i giri di sensibilizzazione ed in questo modo si introduce l’apprendimento tecnico dell’entrata al primo giro, che è la fase più delicata del lancio. Per gli atleti che vengono impostati a quattro giri in questi esercizi si comincia a proporre, per quanto riguarda il movimento del piede sinistro, anche la partenza di pianta, anziché di tallone. In questo tipo di esercitazioni si introduce il concetto di inclinazione dell’orbita, e all’allievo dovrà essere spiegato dove devono essere i punti alti e i punti bassi dell’orbita stessa.

Preliminari e serie di giri

Serie di preliminari e un giro

“Yuri”, ovvero serie di preliminari e 1-2-3-4-5 giri

La maggior parte degli esercizi di sensibilizzazione, di tutti e tre i tipi, deve essere svolta a bassa intensità e senza cercare accelerazioni marcate. Mentre gli imitativi per un atleta esperto possono essere inserite nella seduta di allenamento di tanto in tanto come richiamo, gli esercizi di sensibilizzazione devono essere parte integrante di ogni seduta di lancio per tutta la carriera dell’atleta, come per i suonatori di pianoforte, che prima di eseguire un brano si preparano con scale ed esercizi vari ogni giorno.

GLI ESERCIZI DI LANCIO

All’interno della progressione didattica gli esercizi di lancio devono essere gli ultimi ad essere proposti ad un principiante. Infatti solo dopo che è stato interiorizzato il concetto che l’accelerazione del martello è principalmente a carico degli arti inferiori (il che avviene nella fase dei giri) si deve affrontare l’apprendimento tecnico delle fasi in cui nel movimento intervengono giocoforza anche gli arti superiori, cioè i preliminari e il rilascio finale. Spesso invece l’impazienza (del novello lanciatore ma a volte anche dell’allenatore) di vedere i martelli che volano in aria induce a capovolgere la progressione didattica: già il primo giorno di allenamento si abbozzano tre o quattro preliminari seguiti immediatamente dal rilascio finale. In questo modo passa il concetto, errato, che il martello si accelera soprattutto con la parte superiore del corpo. Quindi, mi raccomando: nell’approccio alla specialità prima si propongono gli imitativi, poi i giri di sensibilizzazione, quindi i finali e solo alla fine lanci completi.

Di seguito propongo degli esercizi di lancio, i più conosciuti, ma le varianti sono innumerevoli e del resto il lavoro direttamente in pedana è il piatto forte dell’allenamento dei martellisti per tutta la loro carriera.

Tra le varianti ci sono:

  1. Il numero di giri: si può lanciare solo coi preliminari, oppure a un giro, due giri, tre giri quattro giri, cinque, sei eccetera.
  2. Il peso degli attrezzi: più leggeri o più pesanti.
  3. La lunghezza degli attrezzi: più lunghi (raramente) o più corti. Tra i martelli corti utilizzati più frequentemente ci sono quelli di 100-105 cm, i cosiddetti “mezzi martelli” (70-80 cm) e i martelloni (quelli delle gare di weight throw, quindi 41 cm).
  4. La foggia dell’attrezzo: Catene, piastre attaccate a catene, ketbell eccetera
  5. Le zone di intensità: si può lanciare a bassa intensità, a media intensità e ad alta intensità.
  6. La ritmica del lancio. Oltre alle zone di intensità bisogna allenare anche le interpretazioni ritmiche.  La ritmica è parte integrante della tecnica e il lancio deve essere sempre in accelerazione. Esiste un ritmo tra i giri e un ritmo all’interno di ogni giro e il lanciatore deve acuire sempre più la sua sensibilità giocando con le diverse interpretazioni ritmiche del lancio, anche all’interno di ogni zona di intensità.

Lancio completo

Lancio con cavigliera al piede destro

Lancio con mano destra

Lancio con mano sinistra

Lancio di piastra e catena

Lancio ad occhi chiusi

Lancio con scarpe minimali

Lancio di precisione ( a un bersaglio)

ALLENAMENTO DELLA FORZA A BASSA VELOCITÀ

Intervista di Gian Mario Castaldi a Maurizio Garufi

Il metodo di allenamento per lo sviluppo a bassa velocità che una decina di anni fa prese piede in Italia è stato un passaggio importante nella metodologia dell’allenamento. Gli studi, le pubblicazioni e l’applicazione sul campo di Giampiero Alberti, Nicola Silvaggi e Maurizio Garufi (nella foto) hanno influenzato e, aggiungo io, influenzato positivamente, gli allenamenti e le prestazioni di molti atleti in quegli anni. Personalmente ebbi la fortuna di seguire da vicino la genesi di tutto ciò e ricordo che quel periodo fu una fucina di intuizioni, approfondimenti, riletture di lavori del passato e soprattutto sperimentazione diretta di un approccio senza dubbio singolare allo sviluppo della forza. E’ fuor di dubbio che nelle palestre di body building da decenni si parlava di “superlenti”, “serie ad esaurimento” et similia; i più arditi avevano anche sperimentato, incuranti di un certo qual rischio, forme di potenziamento in regime di ischemia, con lacci emostatici e fasce elastiche più o meno rudimentali. Parallelamente in quegli stessi anni il mondo dell’atletica leggera, per venire incontro alle esigenze esplosive e balistiche tipiche delle proprie specialità, stava lavorando su espressioni della forza più dinamiche, dove veniva dato maggior risalto alla massimizzazione della potenza, sia come obiettivo precipuo dell’allenamento condizionale
sia come metodo di allenamento. Poi, quasi a trovare una sintesi tra questi due prospettive apparentemente inconciliabili, è arrivata la “forza lenta”, ed è stata una sassata lanciata nello stagno: andare in giro a raccontare che facendo una serie ad esaurimento con il 30 % del carico, e per giunta a velocità bassissime, non si lavorava solo sul condizionamento generale ma si andava ad impattare anche sulle espressioni massimali ed esplosive della forza non era facile. Ho visto inarcarsi più di un sopracciglio. Poi, complici anche gli ottimi risultati di qualche atleta di punta del nostro movimento, il metodo è stato abbracciato e fatto proprio da molti tecnici, ma senza che alla base spesso ci fosse né una profonda comprensione né una profonda convinzione: funzionava ed era diventata una moda. E quindi si faceva “forza lenta”, punto. Ma proprio per i limiti di questo approccio da parte dei più, il risultato è stato che il metodo è stato dapprima distorto, quindi stravolto ed infine sostanzialmente accantonato. Del resto non era una moda?
E allora, se vogliamo riscoprire in maniera un po’ più consapevole, il contributo e le potenzialità del metodo, il modo migliore per condurci in questo percorso è chiedere a chi l’ha proposto. Intervistiamo quindi uno degli autori del libro “Allenamento della forza a bassa velocità”.

· Maurizio, prima di addentrarci nello specifico del metodo inquadriamo “la materia”: in poche parole in cosa consiste quella che viene di solito chiamata “forza lenta”?

Intanto Gian Mario devo fare una importante precisazione….fin dall’inizio sia io che il prof. Alberti ci siamo sempre opposti a questo nome, ben comprendendo comunque che ne riassumeva in modo chiaro il concetto.
Abbiamo preferito chiamarlo “forza a bassa velocità” proprio perché era un metodo che paradossalmente si indirizzava a voler migliorare la forza esplosiva; ci piaceva quindi nella sua denominazione inserire il termine “velocità” piuttosto che l’aggettivo “lento”.
Il meccanismo base su cui si fonda l’idea è molto semplice: si attinge ai benefici di tutto quanto fa riferimento al Blood Flow Resistance Training (BFRT cioè allenamento della forza in condizione di riduzione di flusso sanguigno) senza applicare lacci emostatici o pressurizzati esternamente (che possono essere molto pericolosi se non permettono una rilevazione precisa e in tempo reale della pressione esercitata) ma costruendo una sorta di “laccio emostatico interno virtuale” attraverso l’aumento della pressione intramuscolare e la contemporanea soppressione dei tempi di rilassamento del muscolo.
In questo modo si genera, all’interno di questo, una serie di fenomeni biochimici e neuromuscolari vantaggiosi per l’allenamento della forza.

· L’introduzione in Italia è partita dalla ricerca e dalle sperimentazioni che avete fatto tu, Giampiero Alberti e Nicola Silvaggi, culminata nella pubblicazione “ a sei mani” da parte di voi tre di un libro sull’argomento. Qual è la vera genesi della forza a bassa velocità e come è arrivata in Italia?

La storia parte da una telefonata che ancora ricordo bene perché mi chiamò il prof. Alberti che non conoscevo di persona ma di riflesso attraverso tutto il lavoro che aveva fatto per divulgare l’opera di Cometti in Italia. Mi disse che gli era dispiaciuto non poter intervenire a una conferenza che avevo fatto a Rovellasca sulla Forza Esplosiva e voleva invitarmi a riproporla ai suoi studenti di Scienze Motorie. Accettai immediatamente e con molto entusiasmo; a causa della mia professione mi sono sempre sentito una persona anomala all’interno dell’ambiente sportivo e non volevo farmi scappare la possibilità di sfogare la mia passione davanti ad un uditorio così importante.
Durante la mia presentazione rimarcai l’importanza della velocità di esecuzione da tenere durante gli allenamenti della forza per produrre i famosi “doublets” descritti da Duchateau, cioè per stimolare al massimo la frequenza degli impulsi nervosi e migliorare un fattore critico della forza esplosiva che è il cosiddetto RTF (tasso di sviluppo della forza).
Gli studenti iniziarono a rumoreggiare e il prof. Alberti mi spiegò che aveva fatto delle brevi comunicazioni in ambito universitario riguardo la risoluzione di problemi articolari con concomitante aumento della forza massima con un metodo basato su una esecuzione volutamente lenta con carichi prossimi al 40% -50% del massimale.
Non solo, in uno studio fatto per una tesi usando una metodologia strana, non codificata e ideata dallo stesso Alberti denominata “Metodo della Serie Lenta a Scalare” i risultati erano stati sorprendenti.
La cosa mi colpì, per cui il giorno dopo provai a replicare quanto mi aveva spiegato Giampiero facendo una sola serie di bicipiti con un manubrio da 10 Kg….5 secondi nella fase eccentrica e 5 secondi nella fase concentrica prestando attenzione a non inserire alcuna
pausa che potesse portare a dei tempi di rilassamento…
Avvertii una sensazione strana, il muscolo era immediatamente gonfio e tonico e due giorni dopo avvertii solo qualche piccolo dolorino. Ripetei il lavoro ogni giorno, una serie “alla morte” in modalità lenta, circa 1’40” di lavoro tosto….il muscolo prendeva tono e dalla seconda seduta in poi non c’era più alcun dolore ritardato.
Per me era incredibile….anche se poi in definitiva era un sistema ben noto a chi faceva body building.
Iniziai a cercare di capire cosa succedeva quale fosse il meccanismo fisiologico che spiegava quanto avevo visto.
Insistendo nella ricerca mi imbattei in quella che era la spiegazione fisiologica…..l’imposizione di una velocità adeguata e volutamente lenta al movimento creava una aumento della pressione intramuscolare, la tensione generata causava lo schiacciamento dei capillari che scorrono tra le fibre creando una riduzione di flusso sanguigno…. nello stesso modo con cui si potrebbe schiacciare un tubicino bloccando o riducendo il flusso del fluido che ne scorre internamente. Non era quindi solamente una “superficiale” spiegazione basata sul ben noto concetto di “time under tension” ma bensì qualcosa di più ampio che lasciava spazio a molte possibili applicazioni e benefici aprendo di fatto una serie di speculazioni fisiologiche all’interno dell’allora nascente Blood Flow Restriction Resistance Training.
Da queste cose è nata l’idea del libro inizialmente tra me e il professor Alberti a cui, dopo averlo a lungo ”tampinato”(in quanto inizialmente non totalmente convinto della cosa), si è unito il professor Silvaggi.
Nicola ha fatto un lavoro eccellente e fondamentale raccogliendo e analizzando i tracciati elettromiografici durante l’esecuzione della distensione su panca mettendo in evidenza l’importanza della necessità di sopprimere ogni fase di rilassamento per evitare di perdere il reclutamento delle fibre veloci nella fase in cui si avvicinava l’esaurimento totale.
Tornando alla tua domanda iniziale, in letteratura si trovano degli studi di molto precedenti al nostro lavoro basati su un metodo chiamato LST (Low Intensity – Slow Movement – Tonic Force generation) di Tanimoto e Ischii, però la nostra originalità e direi il nostro pionierismo è stato quello di pensare che questo concetto fosse eccellente per il miglioramento della forza esplosiva.
Inoltre vorrei sottolineare che la Serie Lenta a Scalare è un’invenzione di Alberti che non mi risulta che fosse già codificata in letteratura.

· Quali sono stati i riscontri sul campo?
Da parte mia, con gli atleti che ho allenato o che hanno provato il metodo, senza dubbio ottimi!
Evidenzierei anche le testimonianze di chi lo ha usato e ha voluto dare le sue impressioni nel libro e le successive dichiarazioni di molti sportivi di altissimo livello italiano che lo hanno adottato.
Allo stesso tempo però alcuni hanno iniziato a dare una personalissima interpretazione al sistema, per esempio dilatando i tempi di esecuzione spostandosi verso il Super-Slow o fermandosi prima dell’esaurimento totale oppure aumentando il numero delle serie.
Questo è stato secondo me un grave errore perché ha portato molti a progressivamente allontanarsi da quelli che erano i capisaldi fisiologici, in favore di una ricerca di personalizzazione basata sull’empirismo.
Questo è, secondo me, uno dei mali della concezione dell’allenamento della forza all’interno dell’atletica italiana, ci si basa molto su ricette tramandate di generazione in generazione oppure sull’istinto e sulle proprie sensazioni piuttosto che sullo studio e sui progressi che la fisiologia fa e continua a fare nel campo dell’allenamento della forza.

· Molti sono scettici su questo metodo perché è “un po’ strano”. Si propone di aumentare la forza ma ti fa lavorare con carichi leggeri, si propone di aumentare la velocità ma ti fa lavorare con esecuzioni molto lente….in realtà parte da presupposti diversi. Potresti spiegarli?

Ti ringrazio molto, Gian Mario, perché questa domanda mi permette di “rimettere in circolo” alcuni ragionamenti in virtù anche di studi pubblicati recentemente.
Come ho detto prima, io Giampiero Alberti e Nicola Silvaggi siamo stati un po’ pionieri, perché avevamo ottenuto degli ottimi risultati “sul campo” e avevamo dato a quanto osservato alcune spiegazioni basate sulle ricerche pubblicate in letteratura, ma non avevamo mezzi per andare oltre e oggettivare, soprattutto su un piano scientifico, molte delle ipotesi e speculazioni che avevamo fatto.
In particolare eravamo convinti che il metodo impattasse sulle fibre veloci; intanto perché arrivando fino ad esaurimento totale era evidente che le reclutasse, inoltre alcuni studi evidenziavano chiaramente un reclutamento precoce delle fibre di II tipo a causa dell’ambiente ipossico che si creava.
Inoltre quando facevamo i test, prima e dopo il ciclo di lavoro con la forza a bassa velocità, su atleti che praticavano specialità come sprint e salti, notavamo dei miglioramenti degli indici di forza esplosiva.
Apro un attimo una parentesi, di questa metodologia io ho sempre apprezzato l’economicità.
Per questo motivo con la maggior parte degli atleti ho sempre lavorato facendo una sola serie per esercizio ma fino ad affaticamento totale e su questo ti dirò di più, spesso e volentieri alle ultime ripetizioni incitavo verbalmente l’atleta a andare avanti.
Posso anche dirti che ho nettamente percepito quanto descritto sull’azione che questa tipologia di lavoro ha sulle catecolamine vedendo al termine di esercizi come lo squat alcuni sedersi immediatamente e tenere lo sguardo perso nel vuoto per qualche minuto, questo ad esempio capitava con Fabrizio Schembri, oppure all’opposto atleti “gasatissimi” che non vedevano l’ora di passare al prossimo esercizio.
Dico questo per sottolineare come in entrambi casi si era arrivati realmente all’esaurimento totale, all’impossibilità di fare un ulteriore ripetizione e solo con pochi atleti ho fatto la Serie Lenta a Scalare, che è una fantastica intensificazione del metodo, sempre con le stesse modalità cioè incitando verbalmente dall’esterno gli atleti a dare il massimo.
Ci tengo a enfatizzare ancora che, come confermato da diversi studi, solo con l’affaticamento totale vado a reclutare nelle ultime ripetizioni le importantissime fibre di tipo IIX (per intenderci quelle che potremmo definire “velocissime”) e questo è un pilastro portante del metodo quando è indirizzato all’aumento della forza esplosiva.
Se invece il lavoro viene dilatato, per esempio inserendo 3 o più serie per esercizio con poco recupero, è così elevato l’affaticamento delle fibre veloci di tipo IIX che è presumibile che dalla terza serie in poi siano prevalentemente le fibre di tipo I e in piccola parte le II A a farsi carico del lavoro.
Su questo punto invito chi voglia approfondire la cosa a leggere l’articolo di Aagaard e Wernhom pubblicato su Acta Physiologica nel 2019.
Questa osservazione è un punto chiave perché modulando il volume del lavoro posso spostare l’interesse del metodo dalle specialità basate sulla forza esplosiva come sprint, lanci e salti a, per esempio, il mezzofondo veloce.
Quanto messo in evidenza nella sopracitata review fa da “trait d’union” con quanto scritto, e forse passato un po’ troppo inosservato, in un bellissimo articolo apparso su SDS 54 riguardante un lavoro precedente e molto simile al nostro chiamato dall’autore “Statodinamico”, usato da Selujanov come metodo per l’allenamento della forza nei mezzofondisti veloci russi.
Leggendo l’articolo molte delle affermazioni sono diametralmente opposte a quelle che erano le nostre idee e osservazioni e la differenza, che sposta l’impatto del metodo all’opposto, sta nel volume e nell’intensità del lavoro.
Come detto prima, secondo la mia opinione e esperienza, una sola serie fino ad affaticamento totale con un numero di ripetizioni compreso tra 8 e 12 che portano all’esaurimento totale è già un tipo di lavoro che produce ottimi risultati su atleti di fascia medio alta praticanti discipline di forza esplosiva.
L’intensificazione di questo può essere una seconda serie a esaurimento dopo 3’ di recupero oppure meglio ancora la Serie Lenta a Scalare.
Oltre questo volume di serie e di ripetizioni ci si sposta progressivamente su un lavoro per fibre intermedie e lente.

· In che modo e in quali momenti della preparazione “la forza a bassa velocità” può essere un valore aggiunto per l’allenamento?

Nella mia idea, per la programmazione della forza esplosiva nelle discipline individuali, procedo per gradi costruendo nella prima tappa della preparazione una fase ipertrofica, inserendo poi un lavoro sulla forza massima e infine lavori per migliorare la frequenza degli impulsi nervosi. Infine nel periodo pre-competitivo e in quello competitivo tutti questi fattori si integrano diventando sinergici alla disciplina allenata, e in più possono trovare una loro ulteriore amplificazione per esempio attraverso esercitazioni pliometriche. A mio avviso un limite nell’allenamento della forza di saltatori e velocisti consiste nel ricorrere solo ed esclusivamente a esercitazioni sulla forza massima oppure sulla frequenza degli impulsi nervosi lungo tutto l’anno.
L’errore, secondo il mio punto di vista, sta nel fatto che questo tipo di esercitazioni hanno tempi di adattamento tutto sommato veloci (in media 6 settimane) e portano ad un esaurimento altrettanto veloce del loro effetto residuo creando alcune volte ristagno soprattutto se nelle fasi pre-competitive e competitive l’atleta abbandona in modo sostanziale l’allenamento della forza. Si genera un periodo di forma “molto stretto”.
L’inserimento invece di una fase ipertrofica porta ad un segnale adattativo che esaurisce la sua “spinta”, il suo effetto residuo in tempi più lunghi e crea, attraverso una ristrutturazione degli aspetti morfologici del muscolo, una maggiore stabilità nell’espressioni della forza permettendo nella fase competitiva una gestione più ampia della forma sportiva con una conseguente stabilità nelle prestazioni.
Qui devo fare però un importante chiarimento perché so già cosa passa nella testa di chi sta leggendo….il rischio, con questo metodo, di alterare il rapporto peso-potenza che è un fattore critico nei salti ad esempio.
Quando io parlo di blocco ipertrofico nell’immaginario collettivo si staglia l’immagine del bodybuilder o del lanciatore e si pensa che al termine di questa fase di preparazione l’atleta si troverà con qualche chiletto di massa muscolare in più da portarsi a spasso.
Ma questo non avviene quando si ha a che fare con atleti che integrano molto l’allenamento con esercitazioni di salto e di corsa come appunto avviene con velocisti e saltatori.
Queste esercitazioni bilanciano lo stimolo ipertrofico.
Nella mia esperienza con Flavio Alberio su atleti come Fabrizio Schembri, Micol Cattaneo ma ci metterei anche altri di elevato livello appartenenti all’Atletica Rovellasca o Sangiorgese non si sono visti incrementi repentini di peso corporeo che non fossero imputabili a qualche licenza culinaria nelle merende.
Tornando alla tua domanda, il lavoro di forza a bassa velocità mi aveva risolto il problema di come costruire lo stimolo ipertrofico aggiungendomi un ulteriore elemento, come dicevo prima, l’economia.
Con due sedute di allenamento a settimana di non più di 30’ circa, in 3 o 6 settimane, quando ripetevo i test osservavo nello squat uno spostamento della curva Potenza/Velocità verso l’alto soprattutto nella parte destra (quella della velocità elevata), un miglioramento nel CMJ e della stiffness.
L’anomalia della cosa è che avevo allenato l’ipertrofia!
Non avrei mai e poi mai ottenuto, su atleti di quel livello, la stessa cosa con un classico 3 o 4 x 10 al 70% dell’ 1RM.
In più avevo recuperato non meno di due ore a settimana da dedicare ad altre componenti dell’allenamento.
Finita questa prima fase che poteva durare da 3 a 6 settimane, questa metodologia spariva.
Poteva ritornare come unità isolata magari in qualche settimana del periodo competitivo, per fare un piccolo richiamo di forza in modo da usare qualcosa che non si faceva da molto tempo, oppure in alcuni casi il metodo veniva usato come attivazione prima della forza massima.
Siccome al termine del lavoro a bassa velocità, nel momento in cui rilasso il muscolo, si ha un aumento importante di flusso sanguigno con una sensazione di calore, questo metodo si presta bene sia nel riscaldamento che per un lavoro che massimizzi le performance muscolari successive (una sorta di Post Activation Potentiation).
Inutile dire che in questo caso il lavoro di pre-attivazione non deve assolutamente essere fatto fino ad esaurimento ma solo per qualche ripetizione diciamo non più di 4 o 5.
Dopo un recupero di 5’-6’ si può svolgere un lavoro di forza massima percependo un aumento delle capacità prestative del momento.
Un altro simpatico aneddoto che ti racconto è questo, negli ultimi anni della sua carriera sportiva Mattia Nuara, un bravissimo saltatore in lungo della Forti e Liberi Monza, siccome aveva avuto diversi acciacchi alle articolazioni, usava spesso questo metodo.
Nell’unità di allenamento all’inizio svolgeva la parte di allenamento della forza e poi saltava o correva.
Si era accorto che facendo prima il lavoro a bassa velocità aveva la sensazione di essere più veloce e di saltare di più nella parte successiva dell’allenamento.
Per questo decise di gareggiare a Rovellasca facendo una seduta di forza a bassa velocità prima della gara….esagerò però nelle dosi…..e la gara non andò nel modo sperato.
Questo però per dire che le sensazioni che questo metodo fornisce sono immediatamente molto positive e i dolori residui generati sono veramente modesti dopo le prime sedute per poi essere totalmente assenti nelle successive.
Infine devo però sottolineare, dopo averne evidenziato i diversi vantaggi, anche il limite principale che deve essere ben chiaro agli allenatori.
L’anomalia del metodo sta che si riesce ad attivare le fibre del tipo IIX senza produrre la massima frequenza di impulsi nervosi.
Il metodo deve essere quindi OBBLIGATORIAMENTE combinato durante la preparazione, con esercitazioni che lavorano sulla massima frequenza di scarica neuronale e le migliori esercitazioni su questo aspetto sono, a mio avviso, quelle proposte dal professor Donati e dai
suoi collaboratori che combinano sprint e balzi di diverso tipo col conteggio degli appoggi e del tempo.
La rilevazione del tempo, oltre che della distanza, nei balzi è per esempio un fattore chiave per indirizzare i miglioramenti dell’atleta in larga parte proprio sulla più elevata frequenza degli impulsi nervosi.

· Questo metodo in un primo momento è stato osteggiato, poi è diventato una moda e adesso è stato un po’ dimenticato. Insomma il classico approccio “emotivo” di molti allenatori. Arrivati al 2020 secondo te quali sono gli sviluppi che potrebbe avere in un futuro prossimo?

A mio avviso tantissimi!
Intanto mi ha sorpreso che in questa fase di “Lock Down” nessuno lo abbia fortemente consigliato come lavoro casalingo perché si presta molto bene come intensificazione del lavoro a corpo libero.
Su Linkedin ho pubblicato un esempio di circuito che si presta un po’ a tutti quelli che vogliono tenersi in forma, sia i ricreativi che gli atleti agonisti.
Credo quindi che sia un ottimo metodo per la FASE 2 che spero sia quella della ripresa e della rinascita della nostra società civile oltre che del mondo dello sport. Sottolineo inoltre che grazie ai carichi leggeri e alla bassa velocità di contrazione è il metodo per riprendere l’attività fisica per chi è fermo da molto tempo e vuole evitare indesiderati traumatismi.
La nuova direzione la vedo, come descritto prima, nell’ambito del mezzofondo veloce e della repeated sprint ability quindi negli sport di squadra, calcio in primis.
Chi ha provato a fare lo squat in modalità a bassa velocità conosce l’elevata concentrazione di lattato che si forma nel muscolo in poco tempo, è plausibile pensare che questa debba innescare degli adattamenti dei tamponi muscolari oltre che una certa tolleranza delle fibre a “convivere” in quella situazione.
Inutile dire, come commentato prima, che il tipo di lavoro cambia rispetto a fare una o due serie oppure la serie lenta a scalare perché qui la quantità diventa importante.
Ti posso raccontare di una mia esperienza a Sangiorgio con un gruppo di quattro-ottocentisti dove combinavamo 1’ – 1,30” di lavoro a bassa velocità (es. wall squat) immediatamente seguito da un 400 corso a circa il 70% del massimo e da 1’ di recupero.
Facevamo questa sequenza per circa 10 volte….lavoro tosto ma i riscontri poi sono stati ottimi.
Voglio sottolineare ancora che la combinazione lavoro a bassa velocità e corsa porta a incrementare il tono muscolare ma senza alcun  aumento di peso corporeo.

· Per chi vuole approfondire la materia quali letture consigli?

Beh, aldilà del nostro libro che è un ottimo punto di partenza per chi non conosce proprio nulla del metodo, mi sento di consigliare un articolo in inglese che scrivemmo sul Journal of Strength and Conditioning Research liberamente accessibile a questo link:
– Resistance training with blood flow restriction using the modulation of the muscle’s contraction velocity

Suggerisco inoltre di leggere alcuni lavori pubblicati da Alberti che da persona tenace non ha mai smesso di crederci e approfondire il metodo.
Mi spiace molto che l’atletica italiana non si sia mai avvalsa fino in fondo della sua esperienza e genialità.
– Effetto dell’allenamento di forza a bassa velocità in esercizi sport specifici
– Slow speed resistance training increases skeletal muscle contractile proprieties
– Thermal imaging of exercise-associated skin temperature changes in trained and untrained female subjects

Infine per chi “vuole farsi del male” consiglio vivamente la precedente citata review sul reclutamento muscolare durante il BFRRT che può essere richiesta agli autori:
– https://www.researchgate.net/publication/…

· Per concludere con un po’ di colore, puoi raccontarci qualche esempio di atleti o squadre che hanno “sposato” questo metodo e ci hanno costruito qualche vittoria?

Nell’anno in cui è uscito il libro nel basket sia Milano siaVarese che Cantù usavano questa metodologia con alcuni dei propri giocatori sfruttandone “effetto antalgico” e la bassa intensità.
Posso parlare della mia esperienza con la Pallacanestro Sangiorgese in serie B sempre di Basket.
Nei 4 anni che sono stati lì insieme a Carlo Giulioni, allenatore di Sara Jemai, gli effetti sul miglioramento del fisico e del rendimento dei giocatori sono stati eclatanti tanto che credo che ancora adesso venga in parte utilizzato dalla prima squadra.
Grazie all’uso di carichi bassi e della bassa velocità di esecuzione il metodo si presta molto bene anche per insegnare la corretta tecnica di esecuzione degli esercizi.
Infine cito un atleta a cui sono molto affezionato e che grazie ai suoi preziosi feedback mi ha aiutato moltissimo a settarne le modalità.
Si tratta di Ivan Invernizzi, ostacolista dell’atletica Lecco ma anche bobbista della nazionale Francese in Coppa del Mondo.

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Editoriale n° 1 – marzo 2018

UN’IDEA NUOVA (MA NON TROPPO)

L’idea di istituire un “Area Studi e Documentazione” in seno al Comitato Regionale Lombardo parte da lontano ed affonda le radici nello Sportello del Tecnico. Questa fu un’iniziativa che Gianni Mauri mise in atto negli anni Novanta, quando era fiduciario tecnico regionale, e consisteva nel mettere a disposizione degli allenatori lombardi materiale tecnico, la reperibilità del quale allora era molto più laboriosa di oggi. Si trattava di articoli scritti da noi o tradotti da riviste estere e a questo progetto lavorava un drappello di giovani tecnici, tra cui il sottoscritto, che alimentava l’iniziativa con la propria opera di traduttore o di autore dei suddetti articoli. Personalmente ricordo lo Sportello del Tecnico come un’esperienza positiva e la cosa vale senz’ altro anche per Gianni, se è vero, come e vero, che appena eletto presidente del Comitato Regionale della Lombardia si è subito adoprato per farlo rinascere in una forma più completa e al passo coi tempi, e mi ha affidato la responsabilità di questa “avventura tecnica”.

Da oggi dunque all’ interno del sito del CRL si trova quest’ Area Studi e Documentazione, alla quale lavorano gli allenatori della struttura tecnica regionale. Essa raccoglie (e soprattutto raccoglierà) materiale tecnico a supporto dell’attività degli allenatori. Si tratta di un vero e proprio sito, all’ interno del sito della Fidal Lombardia, che conterrà articoli di tecnica, suddivisi per argomenti, tutti gli atti dei convegni da noi organizzati, proposte didattiche per l’apprendimento e il perfezionamento tecnico delle singole specialità, un’area dedicata a video e fotosequenze, recensioni di libri di interesse per gli allenatori e altro ancora.

Quest’area, come noterete, è ancora in stato di “work in progress”, come si suol dire, e quindi vi chiedo di essere indulgenti nei confronti del nostro lavoro mentre noi, dal canto nostro, cercheremo di completare l’Area e di arricchirla rapidamente e progressivamente. Voglio sgombrare il campo da equivoci e affermare che l’Area Studi e Documentazione, ancorché ufficialmente prodotta da allenatori lombardi per allenatori lombardi, si augura di riscuotere l’interesse anche di atleti e soprattutto di allenatori di altre regioni e, anzi, la speranza è che questa iniziativa faccia da volano a collaborazioni e che metta in rete le esperienze di tutti. Del resto l’atletica non ha recinti, le idee neppure e quindi l’augurio è che la nostra opera venga consultata da chiunque a vario titolo voglia arricchire la sua competenza sportiva.

Tra le proposte della nostra Area voglio sottolineare la newsletter. Infatti con cadenza bimestrale manderemo agli iscritti tutto il materiale inserito nel sito, cosicché ciascuno vi ci possa navigare “a botta sicura” e in tempo reale con gli aggiornamenti. Esso sarà brevemente introdotto o recensito (magari a cura dell’autore) e il tutto sarà preceduto da un editoriale, che si propone come un mezzo per commentare vari temi di interesse per gli allenatori e per tenere aggiornati sull’attività e sull’ attualità tecnica. In calce alla home page viene data la possibilità di iscriversi e comunque, detto per coloro che si aggiungeranno in futuro, tutte le newsletter verranno archiviate e saranno consultabili in qualsiasi momento.

CONVEGNO “GO FOR THE GOLD”

Il 5 gennaio a Sangiorgio su Legnano si è tenuto un convegno, iniziativa che negli ultimi anni gli organizzatori del Campaccio propongono alla vigilia della “Campestre dell’Epifania” per antonomasia, e che ovviamente verte su temi del mezzofondo e fondo. Quest’anno sono intervenuti Renato Canova e Giorgio Rondelli, che hanno raccontato la loro esperienza. Il primo ha spiegato la realtà in cui attualmente lavora (l’Africa) e ha sottolineato le peculiarità che rendono quell’ ambiente particolarmente adatto per i fondisti. L’idea centrale è che quel mondo sia in un certo senso rimasto incontaminato da certe storture dell’atletica occidentale e ha portato l’esempio di Sandre Moen, atleta norvegese che sotto la sua guida ha recentemente stabilito il record europeo della maratona (2h 05’48”), tra l’altro miglior prestazione mondiale per un atleta di etnia caucasica.

Se l’intervento di Renato Canova è stato un viaggio nello spazio, quello di Giorgio Rondelli è stato un viaggio nel tempo, in quanto ha ripercorso nel suo intervento tutta la sua carriera da allenatore, riportando gli allenamenti degli “anni d’oro” del mezzofondo e fondo italiano, in cui Panetta e Cova (ma anche Antibo, Lambruschini e altri ancora) furoreggiavano con i loro risultati. Le metodologie di allora sono ancora attuali, e sarebbero ancora vincenti, se ci fosse il coraggio e ci fossero (o tornassero ad esserci) le condizioni per riproporle.

Di seguito i lucidi dell’intervento di Giorgio Rondelli e una relazione di mio pugno dei concetti portanti di Renato Canova, dei temi emersi nell ‘intervento di Rondelli e nella discussione a seguito delle domande dai partecipanti all’ evento, che è stato a propria volta arricchito da un chairman d’eccezione quale il prof. Antonio La Torre.

>>> Relazione del convegno ‘Go for the gold’

>>> Come ci allenavamo ieri

LA CORRETTA TECNICA DEL PASSAGGIO DELL’OSTACOLO E LE RELATIVE ESERCITAZIONI

Proponiamo questo articolo del prof. Roberto Bedini, che affronta dettagliatamente l’argomento del passaggio dell’ostacolo, passando in rassegna numerose esercitazioni per l’apprendimento dello stesso. In particolare l’autore stigmatizza la tendenza, tutta italiana, a slanciare all’ indietro il braccio corrispondente alla gamba di attacco nella fase di volo. Molta attenzione pone anche alla fase della ripresa, indicando la corretta esecuzione, sottolineando l’importanza della tenuta dell’appoggio sull’ avampiede e dando suggerimenti molto utili per l ‘apprendimento di questo ed altri particolari tecnici.

 >>> La corretta tecnica del passaggio degli ostacoli

LA VELOCITA’ NEL TERZO MILLENNIO / IL SALTO CON L’ ASTA NEL TERZO MILLENNIO

Stefano Grosselle conduce in questi due articoli un’indagine statistica sulle tendenze nel salto con l’ asta e nella velocità, con specifico riferimento alle grandi competizioni. Il dato più saliente che emerge dall’ osservazione dei risultati degli atleti che vi partecipano è la differente distribuzione delle medaglie tra le due specialità. Infatti nelle gare di sprint, ad onta del fatto che la disciplina sia molto più “globalizzata” rispetto al salto con l’asta, le medaglie tendono ad essere appannaggio di una cerchia molto ristretta di nazioni. Del resto è evidente che di quelle che partecipano, la maggior parte rimane relegata ai turni eliminatori. Viceversa il salto con l’asta vede partecipare alle competizioni un numero decisamente minore di nazioni e tra queste non si identificano tendenze a monopolizzare i podi delle grandi competizioni. Grosselle suggerisce che questo possa dipendere da una maggior difficoltà tecnica del salto con l’asta rispetto allo sprint, o comunque a una maggior aleatorietà della specialità sulla gara secca.

>>> La velocità del terzo millennio

>>> Salto con l’asta nel terzo millennio

ANALISI ANNUALE DELLE PRIME TRE ALLIEVE MARTELLISTE IN AMBITO REGIONALE (FVG) E RIVISITAZIONE DI UN METODO DI ANALISI VIDEO DEI LANCI TRAMITE UN SOLO PUNTO DI OSSERVAZIONE

Questo studio è stato condotto da un giovane tecnico friulano, Alessandro Saccà, che partendo dall’ analisi di un numero decisamente congruo di lanci, cerca di trovare delle linee di tendenza tra diversi parametri del lancio. I motivi di interesse per il lettore sono essenzialmente due. In primo luogo, poiché i succitati lanci sono stati eseguiti da atleti di diversa levatura tecnica, si possono valutare le variazioni nell’ esecuzione dei diversi elementi del lancio al variare del livello prestativo e/o tecnico. Il secondo motivo, probabilmente il più importante, risiede nella proposta di un modello di analisi basato su riprese tramite una sola videocamera. L ‘utilità per l’allenatore “da campo” è evidente, in quanto l’ approccio proposto è facilmente replicabile e presenta degli elementi di novità che finora non ho mai rilevato in studi simili; mi riferisco in particolar modo alla correzione degli errori di parallasse e di prospettiva, che secondo Saccà (ingegnere ottico, tra l’ altro) se non considerati potrebbero portare a conclusioni fuorvianti nell’ analisi dei lanci.

>>> Rivisitazione di un metodo di analisi video dei lanci

CONSULTAZIONE DELLA STATISTICA / HANDBOOK CAMPIONATI MONDIALI INDOOR BIRMINGHAM 2018

Nell’ Area Studi e Documentazione è prevista anche una sezione dedicata alla Statistica. Si tratta di una serie di link a siti che pubblicano classifiche, risultati eccetera oppure veri e propri manuali. Di solito si tratta di materiale accessibile in rete, ma ho ritenuto utile per gli allenatori avere uno spazio circoscritto e di facile consultazione per le loro indagini. Il primo articolo, “Consultazione della statistica” è un piccolo vademecum che ho scritto per estrapolare dal mare magnum di ciò che si trova su internet tutti i siti che possono risultare interessanti e per spiegarne i contenuti. Il secondo pdf è il manuale degli ultimi Campionati Mondiali Indoor. Ho voluto sottoporlo alla vostra attenzione, perché oltre alla storia di tutte le edizioni dei mondiali indoor presenta una corposa sezione con tutte le graduatorie e tutti i record relativi all’attività in sala.

>>> Consultazione della statistica

>>> Handbook Campionati Mondiali indoor Birmingham 2018

Ricordando che se avete proposte o suggerimenti sono i bene accetti (per scrivermi vedere sezione “Contatti”) non mi resta che augurarvi buona navigazione e buona lettura.

 

Gian Mario Castaldi